Mi sembra evidente che la richiesta energetica, dovuta al progredire della nostra società, si stia facendo sempre più intensa e che, d’altra parte, le attuali risorse non consentano in maniera tanto adeguata di rispondere a questa necessità, vuoi per l’esauribilità delle fonti preferenziali (gli idrocarburi) vuoi per il loro prezzo. Forse non sarà un problema d’oggi, se vogliamo sostenere che il prezzo in Italia sia ancora sopportabile, tuttavia non possiamo non considerare che già attualmente parte del nostro approvvigionamento proviene da paesi che utilizzano fonti energetiche per noi non convenzionali. In particolare mi riferisco all’acquisto di energia elettrica dalla Francia, derivante principalmente da centrali termonucleari.

Indipendentemente, quindi, dalle scelte di produzione di energia elettrica sul nostro territorio, utilizziamo, e quindi di fatto legittimiamo, anche tecnologie di tipo nucleare.
Tali tecnologie sono attualmente diffuse nella maggior parte degli stati europei, anche con episodi di funzionamento di impianti non propriamente recenti o all’avanguardia in termini di sicurezza. Considerando che la costruzione di nuovi impianti sarebbe soggetta a rigidi vincoli in termini di sicurezza, come prescritto dalle direttive europee, e che la tecnica del settore ha compiuto notevoli passi in avanti, resta da domandarsi se avrebbe senso, oggi, riprendere nel nostro paese un cammino interrotto circa venti anni fa.

La situazione italiana attuale non è strettamente connessa alle vicende referendarie e politiche del 1987 che avevano avuto lo scopo di mettere un freno a scelte che si stavano compiendo al di fuori della portata dell’opinione pubblica, senza chiare garanzie circa le conseguenze a cui poi gli stessi cittadini, esclusi da qualsiasi tipo di scelta, avrebbero potuto dover sopportare. L’elaborazione del piano energetico successivo al referendum, infatti, prevedeva una moratoria all’utilizzo delle centrali nucleari limitata a soli cinque anni e lo stesso Marco Pannella (promotore del referendum), nel 1989, non auspicava la dismissione di tutti gli impianti nazionali.

Uno stato di fatto che oggi appare immodificabile è dovuto ad un piano energetico vecchio (l’ultimo Piano Energetico Nazionale risale al 1988) che sembra non sia stato alimentato, negli anni successivi, da un chiaro dibattito innanzitutto politico. La questione energetica riemerge, infatti, soltanto quando si vogliono promuovere tecnologie “alternative,” troppo spesso sostenute più da una forza di propaganda ecologista che da un chiaro piano di sviluppo veramente alternativo o complementare al regime attuale. A fronte di una diffusa critica nei confronti dell’utilizzo massiccio di fonti fossili, si passa troppo facilmente dal rifiuto a priori di qualsiasi ipotesi nucleare (a favore di discutibili progetti di sfruttamento dell’energia eolica o solare) così come, sull’altro fronte, si prende spunto da qualche episodio di crisi energetica acuta ma puntuale (vedi il black-out di qualche tempo fa), per rilanciare l’energia atomica senza il supporto di una approfondita valutazione, innanzitutto economica, dell’evoluzione del consumo e dell’approvvigionamento energetico futuri.